Ci rubano l’anima

Ci sono persone (anche tra i cosiddetti nativi digitali) che creano i propri account social con degli pseudonimi, evitando accuratamente di immettere dati personali di qualsiasi genere (al punto di disattivare il GPS, rinunciando ad usare il navigatore su smartphone).

Si giustificano dicendo che (assai prudentemente) non si fidano di queste grandi organizzazioni che possono spiare tutto ciò che facciamo o diciamo su internet. In breve esercitano in modo radicale il loro diritto di privacy. Io non sono affatto come loro. Il grande fratello sa (quasi) tutto di me. E vivo sereno (o credo di farlo).
Quando ero bambino girava la storia degli indigeni di qualche tribù lontana che non volevano essere fotografati perché convinti che le fotografie gli rubassero l’anima. A volte gli amici diffidenti mi sembrano troppo prudenti, a volte addirittura superstiziosi come quegli abitanti di angoli sperduti del pianeta, lontano dal frastuono della tecnologia. Loro sì che vivevano davvero sereni (prima che arrivassimo noi).
Ma a credere di stare sereni a volte si rischia di venire fregati. Non è che forse i miei amici diffidenti (e pure gli indigeni) abbiano almeno un poco ragione? A leggere con attenzione le informazioni ormai circolanti circa il furto di identità digitale sembrerebbe di sì.
If the product is free, then you are the product“. Con questo adagio le televisioni commerciali hanno prosperato per decenni. Cosa è cambiato con internet? Nulla. Tranne che il prodotto adesso non è la massa indifferenziata dei telespettatori, oggi il prodotto sei tu: con un nome, un cognome, una data di nascita, abitudini di spesa e preferenze di consumo molto ben profilate.
Quindi adesso l’adagio sarebbe un altro: “we don’t know what the value of our digital soul”:
Il 12 aprile 2014 Shawn Buckles ha venduto a un’asta per 350 Euro la sua anima digitale. E ho scoperto con stupore che curiosamente il ricercatore della University of Nottingham ha usato proprio l’espressione “data soul” per indicare l’insieme seguente: “his location records, his medical records, his personal calendar, the content of his emails and all the information from his social media communications, his online conversations, his consumer preferences and his internet browsing history”(1).
Forse il lotto valeva di più: “the European Commission estimates that the value of personal data in the European Union will hit more than $1 trillion by 2020” (2)(3)(4).
In attesa che le istituzioni regolamentino il mercato delle anime digitali, non ci resta che proteggerle almeno dal furto di identità dei piccoli ladruncoli male intenzionati. Usando da subito almeno la Strong Authentication che i fornitori di servizi “gratuiti” ci mettono a disposizione. Con una App come Valid è possibile attivare a costo zero la Strong Authentication sui principali provider come Google, Facebook, Dropbox… (5)

Di certo ora so solo che gli indigeni avevano intuito qualcosa che a noi ancora sfugge.
Emanuele Cisbani

Technology Evangelist – Intesi Group

(1) https://theconversation.com/dutch-student-sells-his-data-for-350-but-at-what-price-privacy-25736

(2) www.livescience.com/52315-your-online-identity-has-value-but-who-profits-from-it.html

(3) http://qz.com/460482/heres-what-your-stolen-identity-goes-for-on-the-internets-black-market/

(4) http://www.secureworks.com/assets/pdf-store/white-papers/wp-underground-hacking-report.pdf

(5) https://www.time4mind.com/public/valid.php

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